Gutta cavat lapidem
 

Speleologia

di Giovanni Badino

    Chi ce lo fa fare di scendere nelle grotte? Il fatto che è molto bello. È un'attività nella quale si prende un mucchio di freddo, ci si bagna, si fa spesso una fatica veramente bestiale: ma nell'insieme è molto bella. Forse penserete: "Sarà perché vedete dei posti belli, delle belle concrezioni". Sì, certo, nelle montagne ci sono cose e luoghi estremamente belli, ma non è solo (e non è tanto) quello il motore: infatti capita molto più spesso di attraversare posti decisamente brutti e le concrezioni sono sempre rare. Il motore principale che spinge sottoterra è la possibilità di viaggiare in un immenso mondo inesplorato. Si viene a scoprire che esiste il mistero nel territorio che ci circonda, che esistono pareti e precipizi nell'oscurità di luoghi impensabili, scavati poco al di sotto di posti solari che facevano credere di essere completamente abbracciabili con lo sguardo. A volte si riesce a vagare in mondi giganteschi e mai visti da esseri umani, ad esplorare i fiumi a monte delle sorgenti, a contemplare il riunirsi delle loro acque nel buio. Si imparano a vedere le montagne non solo dotate di superficie, ma di volume. Insomma, ne vale veramente la pena.

   
La speleologia non è un alpinismo all'ingiù. Con l'alpinismo ha in comune alcune tecniche di arrampicata e il fatto che le due attività si praticano soprattutto in montagna (ma gli alpinisti vanno più in alto). Speleologi ed alpinisti, inoltre, hanno in comune alcuni materiali e questo fatto, marginale, è quello che più induce gli ignari a pensare alla speleologia come ad una variante dell'alpinismo. È sbagliato, anche solo perché li utilizzano in modo diverso: gli alpinisti si spostano sulla roccia e usano le corde per rimediare alle cadute, gli speleologi in genere rifuggono dalla roccia e si spostano proprio sulle corde (ma, ahimè, la roccia non rimedia alle cadute anche se le arresta...). Tuttavia queste differenze sono piccole: quella essenziale è che l'alpinista conosce il luogo geografico dove andrà, l'esploratore ipogeo no. L'uno vuole cimentarsi nel superamento di un problema arduo, l'altro soprattutto vedere le vie dell'acqua dentro una montagna. L'ambiente mentale in cui si muove l'alpinista è la difficoltà, quello dello speleologo l'ignoto. Lo speleologo è un geografo. Si immagini un continente sempre pieno di nebbie, di cui sia possibile conoscere solo le coste, vedere le foci dei fiumi. Se l'alpinismo fosse l'inoltrarsi nelle nebbie dell'interno, risalire i fiumi oscuri sino alle sorgenti, risalire pareti alla cieca, disegnando e rilevando i percorsi e le vie alternative, se fosse misurare vette nel buio scoprendo pareti, valli, connessioni fra le montagne, allora la speleologia sarebbe alpinismo all'ingiù.